LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n. C/234 del registro di segreteria, proposto da Muzzu Fanny nata a Bonorva il 21 gennaio 1922, legalmente domiciliata in Roma presso lo studio dell'avv. Tommaso Palermo, via Mario Clemente, 68, avverso il silenzio rifiuto opposto dalla direzione provinciale del tesoro di Sassari in relazione all'istanza del 26 febbraio 1983 di riliquidazione del trattamento pensionistico. Uditi alla pubblica udienza del giorno 14 giugno 1989 il relatore consigliere Alberto Avoli, l'avv. Tommaso Palermo; nonche' il pubblico ministero nella persona del vice procuratore generale Franco Franceschetti. Esaminati gli atti e i documenti di causa e considerato in FATTO E DIRITTO I. - La sig.ra Muzzu Fanny, gia' dipendente della carriera di concetto del Ministero del tesoro, e' stata collocata a riposo dall'11 agosto 1975. In data 26 febbraio 1983 ha avanzato istanza di riliquidazione del trattamento pensionistico sulla base delle nuove retribuzioni previste per il personale in servizio (leggi 2 luglio 1980, n. 312 e 6 agosto 1981, n. 432). Il Ministero del tesoro ha omesso di pronunciarsi, con la conseguenza che l'interessata in data 14 maggio 1984 ha formulato formale diffida a provvedere. Perdurando l'inerzia dell'amministrazione ed essendosi quindi realizzata la fattispecie propria del silenzio-rifiuto, era proposto ricorso giurisdizionale nanti a questa Corte. All'odierna udienza l'avv. Palermo, costituitosi con atto del 16 maggio 1989, illustrava i motivi del ricorso e sosteneva il fondamento della pretesa dedotta, alla luce fra l'altro del piu' recente evolversi dell'indirizzo giurisprudenziale (da ultimo: Corte costituzionale, n. 501 del 21 aprile 1988 e Corte dei conti, ss.rr. n. 76 del 27 ottobre 1988). Il predetto patrocinatore chiedeva, in conclusione, l'accoglimento del gravame o, in subordine, la sospensione del processo con rinvio degli atti alla Corte costituzionale per il giudizio di legittimita' dell'art. 26 del d.-l. 6 giugno 1981, n. 283, convertito in legge 6 agosto 1981, n. 432; dell'art. 2, secondo comma, della legge 29 aprile 1976, n. 177; nonche' dell'art. 14, quinto comma, del d.-l. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito nella legge 29 febbraio 1980, n. 33. Il procuratore generale confermava sostanzialmente le conclusioni scritte di rigetto, sostenendo la correttezza della liquidazione del trattamento pensionistico della sig.ra Muzzu e l'inesistenza di un diritto a riliquidazione a seguito della sopravvenuta concessione di miglioramenti al personale in servizio. II. - La questione portata all'oggetto della sezione appare di chiara delimitazione concettuale, al di la' del susseguirsi nel tempo di piu' provvedimenti legislativi non sempre coerenti con una necessaria visione unitaria della materia. Si tratta cioe' di stabilire attraverso quali meccanismi normativi il trattamento pensionistico degli impiegati civili dello Stato debba trovare adeguamento, in modo da realizzare concretamente il principio della "retribuzione differita" ormai consolidato da una pluralita' di pronunce della Corte costituzionale e della stessa Corte dei conti. Altro aspetto concerne il punto se la soluzione legislativamente statuita debba necessariamente essere unica per tutto il personale civile o militare dello Stato o possa essere diversificata a discrezione del legislatore, in rapporto a situazioni categoriali di fatto con connotazioni specifiche, fermo restando comunque il rispetto del principio di ragionevolezza delle scelte effettuate. Una volta ammessa la necessaria unitarieta' ed univocita' del sistema, sarebbe inevitabile l'estensione della relativa disciplina a tutti i dipendenti pubblici o quanto meno a tutti i dipendenti statali, civili o militari che siano. La sezione a questo proposito richiama la propria ordinanza n. 0210/m/89 del 18 novembre 1988-16 marzo 1989 in causa Boi avverso il Ministro delle finanze, concernente la riliquidazione del trattamento per il personale militare. Con tale provvedimento veniva sollevata questione indidentale di costituzionalita' (artt. 36, 38 e 32) dell'art. 5, primo comma, della legge 28 dicembre 1988, n. 544, nella parte in cui, in luogo degli aumenti ivi previsti, non dispone la riliquidazione della pensione sulla base del trattamento economico derivante dall'applicazione dell'art. 43 della legge 18 aprile 1981, n. 121 e del d.-l. 21 settembre 1987, n. 387, convertito con modificazioni dalla legge 20 gennaio 1987, n. 427. III. - Nel merito la pretesa della ricorrente non puo' trovare accoglimento. Infatti la medesima ha fruito dei meccanismi di adeguamento previsti dalla legge 29 aprile 1976, n. 177, consistenti in incrementi annui rapportati ad indici determinati. Sulla base delle norme vigenti l'amministrazione non poteva che disattendere la pretesa della sig.ra Muzzu. Deve poi essere considerata l'eccezione subordinata di legittimita' costituzionale, relativa alle specifiche disposizioni gia' richiamate. La questione e' con tutta evidenza rilevante nel presente giudizio, posto che l'accertamento del diritto della ricorrente ad un diverso e piu' favorevole trattamento pensionistico trova ostacolo nelle norme considerate, ove prevedono un meccanismo di adeguamento indifferenziato qualitativamente (e ritenuto per di piu' inadeguato sotto il profilo quantitativo) e che non hanno disciplinato l'estensione dei benefici ottenuti dal personale in servizio ai dipendenti gia' pensionati. IV. - Le norme per le quali si ritiene di dover promuovere la pronuncia incidentale di costituzionalita' sono le seguenti, in accoglimento della tesi sostenuta dalla parte attrice: 1) legge 29 aprile 1976, n. 177, art. 2, che recita: "Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro del tesoro, sentite le organizzazioni sindacali, saranno stabiliti i criteri per la determinazione annuale dell'indice di incremento delle retribuzioni da applicare sulle pensioni, avendo riguardo al confronto tra due periodi consecutivi di dodici mesi ciascuno dei trattamenti economici fondamentali ed accessori, fissi e continuativi, dovuti con carattere di generalita' per le categorie del personale in attivita' di servizio. Sino a quando non sara' determinato l'indice di cui al precedente comma e comunque non oltre l'anno 1978, sara' applicato sulle pensioni l'indice valevole per l'aggancio alla dinamica salariale del settore privato"; 2) d.-l. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 14, quinto comma, convertito in legge 29 febbraio 1980, n. 33, che rende applicabile alle pensioni di cui all'art. 1 della legge n. 177/1976 l'aumento pensionistico di cui al primo comma dell'art. 10 della legge 3 giugno 1975, n. 160; 3) d.-l. 6 giugno 1981, n. 283, art. 26, convertito in legge 6 agosto 1981, n. 432, che stabilisce "Il personale cessato dal servizio nel corso di vigenza del triennio contrattuale 1979-81,... si considera inquadrato nei nuovi livelli retributivi ai soli fini del trattamento di quiescenza, secondo i criteri stabiliti per il personale in servizio". V. - Va preliminarmente precisato che risultano pacifici i seguenti principi: 1) la pensione costituisce "retribuzione differita"; 2) la stessa deve mantenere tendenzialmente inalterato il potere d'acquisto del percettore; 3) il sistema di incremento deve considerare anche la "quantita'" e la "qualita'" del servizio. Il legislatore sino alla legge n. 177/1976 ha ritenuto di dover provvedere all'adeguamento con ripetuti interventi normativi di riliquidazione. Successivamente e' stato introdotto un sistema di aumenti percentuali annui a carattere generale. Tale sistema (per altro derogato per alcune categorie di pubblici impiegati) implica un sostanziale "scollamento" del trattamento di quiescenza rispetto alla dinamica retributiva del personale in servizio. Il legislatore ha cioe' apportato dei meri aumenti monetari delle pensioni erogate, con due effetti indotti: 1) l'unicita' dell'indice applicato ha disatteso ogni valutazione sulla qualita' del servizio, puntando ad un sostanziale "appiattimento" delle posizioni; 2) l'indice e' stato determinato in modo da non tener conto dei fattori di rideterminazione e riarticolazione degli stipendi del personale; 3) in altre parole la percentuale d'incremento pensionistico e' stata considerata come una variabile autonoma rispetto alla dinamica salariale, selettivamente intesa. Non e', pertanto, manifestamente infondata la questione di costituzionalita', in relazione agli artt. 36 e 38 della Costituzione, degli artt. 2, secondo comma, della legge 29 aprile 1976, n. 177, e 14, quinto comma, del d.-l. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito nella legge 29 febbraio 1980, n. 33 (che disciplinano gli aumenti di pensione) in quanto norme che non hanno assicurato al trattamento di pensione la proporzione costituzionalmente dovuta; nonche' dell'art. 26 del d.-l. 6 giugno 1981, n. 283, convertito nella legge 6 agosto 1981, n. 432, in quanto norma che ha escluso dalla riliquidazione talune pensioni impedendo che le stesse acquistassero la proporzione costituzionalmente dovuta. Difatti, il trattamento di quiescenza, ricevuto nel fabbraio 1981 da dipendente (nella specie segretario capo), collocato a riposo nel 1975, e' uguale al 51,56% del trattamento di quiescenza ricevuto dal pari grado segretario capo collocato a riposo nel 1981 (L. 316.700 rispetto a L. 614.200 di sola pensione lorda) e, tenuto conto dei nuovi stipendi, attribuiti con d.P.R. 25 giugno 1983, n. 344, a decorrere dal 1 gennaio 1983, il trattamento di quiescenza ricevuto dal medesimo funzionario, e' uguale al 44,98% del trattamento di quiescenza ricevuto del pari grado collocato a riposo nel 1983 (L. 302.115 rispetto a L. 671.580). Ne discende che rispetto al trattamento di quiescenza del segretario capo collocato a riposo negli anni 1981 e 1983 - calcolato ai sensi degli artt. 43 e 44 del citato t.u. n. 1092, e pertanto proporzionato alla qualita' e alla quantita' del lavoro prestato - il trattamento di quiescenza del segretario capo collocato a riposo nel 1975, non risulta (per difetto) proporzionato alla qualita' e quantita' del lavoro prestato. E' con riferimento, poi, agli stessi precetti costituzionali che va prospettato altro dubbio di costituzionalita' nel senso che le disposizioni che appresso si citano sono tali da rendere il trattamento di quiescenza inadeguato alle esigenze di vita dell'interessato e della sua famiglia "per una esistenza libera e dignitosa" come garantito dagli artt. 36 e 38 della Costituzione. Puo', infatti, rilevarsi come in base all'indice Istat il valore monetario del trattamento di quiescenza ricevuto nel gennaio 1984 dal segretario capo collocato a riposo dall'11 agosto 1975 e' uguale all'80% del valore espresso in moneta odierna del trattamento di quiescenza da lui stesso ricevuto nell'agosto 1975. Cio' e' conseguenza dell'applicazione degli artt. 2, secondo comma, della legge 29 aprile 1976, n. 177, e 14, quinto comma, del d.-l. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito nella legge 29 febbraio 1980, n. 33 (che disciplinano gli aumenti di pensione), in quanto norme che non hanno assicurato al trattamento di pensione il valore monetario e con esso l'adeguatezza costituzionalmente dovuta; nonche' dell'art. 26 del d.-l. 6 giugno 1981, n. 283, convertito nella legge 6 agosto 1981, n. 432, in quanto norma che ha escluso dalla riliquidazione la pensione, impedendole di acquistare il valore monetario e con esso l'adeguatezza. A sostegno dei due profili esposti giova il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 26/1980 dove si afferma che "dagli artt. 36 e 38 della Costituzione, congiuntamente considerati, innegabilmente scaturisce, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, una particolare protezione per il lavoratore, nel senso che il suo trattamento di quiescenza - al pari della retribuzione in costanza di servizio, della quale costituisce sostanzialmente un prolungamento ai fini previdenziali - deve essere proporzionato alla quantita' e alla qualita' del lavoro prestato, e deve in ogni caso assicurare al lavoratore medesimo e alla sua famiglia mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, per una esistenza libera e dignitosa. Proporzionalita' ed adeguatezza, che non devono sussistere soltanto al momento del collocamento a riposo, ma vanno costantemente assicurate anche nel prosieguo, in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta". Va aggiunto che la citata sentenza della Corte costituzionale si riferisce, fra le possibili cause di inadeguatezza del trattamento di quiescenza, "ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta" criterio che porterebbe ove seguito a constatare una perdita del valore monetario in misura maggiore di quella derivante dalla variazione dei "prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati" stabiliti dall'Istat. Cio' rilevato, puo' aggiungersi che anche al piu' generale parametro contenuto nell'art. 3 della Costituzione puo' farsi riferimento, sotto il profilo che il silenzio rifiuto opposto alla ricorrente dall'amministrazione di appartenenza, alla riliquidazione della pensione sulla base degli stipendi vigenti dal 1 febbraio 1981, e' stato motivato dal fatto che il beneficio della riliquidazione viene riservato, dall'art. 26 del d.-l. 6 giugno 1981, n. 283, convertito nella legge 6 agosto 1981, n. 432, al personale cessato dal servizio dopo il 31 dicembre 1978, rimanendone escluso chi, come la ricorrente medesima, ha cessato di prestare servizio nel 1975. Tale esclusione del beneficio della riliquidazione appare porsi in contrasto con la parita' di trattamento garantita dall'art. 3 della Costituzione, nel senso (Corte costituzionale sentenza n. 26/1980) che la parita' di situazioni, e' "il presupposto per la valutazione della legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, di una diversita' di disciplina". Nella fattispecie che interessa, esiste una legge che nega ai pensionati, a riposo dal 1975, il beneficio di avere la pensione riliquidata sugli stipendi entrati in vigore nel 1981, mentre ha concesso il beneficio in questione al personale che e' a riposo dal 1979. In tale modo la legge ha adottato nei confronti dei titolari delle pensioni, una "diversita' di disciplina" in presenza di "parita' di situazioni", violando dunque l'art. 3 della Costituzione. Ne' la data piu' antica del collocamento a riposo puo' autorizzare il legislatore a negare il beneficio della riliquidazione della pensione. Tale diniego e' stato finora sostenuto da motivi di politica economica, in particolare dall'esigenza di ridurre la spesa previdenziale; esigenza che potrebbe venir soddisfatta in diversi ragionevoli modi compreso, al limite, la riduzione di tutte le pensioni, non pero' negando il beneficio della riliquidazione soltanto alla parte piu' anziana dei pensionati; perche' tale diniego contrasta con la "ragionevolezza della disciplina giuridica" la quale per costante giurisprudenza, integra la legittimita' costituzionale di qualunque norma (v. le sentenze della Corte costituzionale nn. 85/1965 e 121/1967).